La piccola Sara ha tre anni, è nata in Spagna e ha due madri. Nonostante il riconoscimento della genitorialità di entrambe le madri da parte della Spagna, Sara non ha avuto la cittadinanza spagnola in quanto le madri hanno rispettivamente la cittadinanza bulgara e quella inglese e, in Spagna, non vi è lo ius soli.
La coppia si è perciò rivolta alla Bulgaria purtroppo senza successi; il comune di Sofia si è rifiutato di rilasciarle un documento di identità negando così a Sara la cittadinanza e rendendola, di fatto, apolide.
Da questo rifiuto si è sviluppato un lungo contenzioso legale arrivato fino alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) che, in una sentenza storica, confermata qualche mese dopo in un caso analogo avvenuto in Polonia, ha ritenuto che lo Stato membro di un minore che ha la cittadinanza è tenuto a rilasciare un documento d’identità, anche nel caso in cui un diverso Stato membro riconosce come genitori del minore due persone dello stesso sesso.
La sentenza è molto chiara. Proprio per questo non è procrastinabile un intervento dei legislatori dell’Unione europea. Proprio per questo, insieme ad altri parlamentari, ho presentato un’interrogazione che chiede alla Commissione di garantire che i diritti delle Famiglie Arcobaleno siano tutelate, come indicato dalla CGUE.
Del caso di Sara si discuterà al Parlamento europeo nel corso della plenaria di novembre, in concomitanza con la decisione della Corte amministrativa della capitale bulgara sull’appello presentato dal comune di Sofia.
In presenza di simili discriminazioni, il Parlamento non può tacere me deve intervenire prendendo posizioni forte e chiare per porre fine a discriminazioni inaccettabile per chi crede nella Giustizia e nello Stato di Diritto.
Inoltre, la Commissione europea dovrebbe presentare entro la fine dell’anno un regolamento definitivo sul riconoscimento transfrontaliero della genitorialità all’interno dell’Ue. Tuttavia, il diritto di famiglia è di competenza dei singoli Stati membri e l’Ue può intervenire solo riguardo le implicazioni transfrontaliere. Non sarà perciò affatto semplice trovare un accordo unanime.
Qual è attualmente la fotografia nell’Unione riguardo i diritti delle Famiglie Arcobaleno? In 13 Stati membri, Italia compresa, le coppie dello stesso sesso possono essere riconosciute e avere diritti simili, ma non necessariamente identici, a quelli di un matrimonio. L’Italia, ad esempio, non fa parte dei 13 Stati in cui è riconosciuta la possibilità per le famiglie dello stesso sesso di adottare dei bambini.
Inoltre, sono ancora 9 gli Stati membri in cui un coniuge dello stesso sesso non viene riconosciuto come tale e quindi non gli sono attribuiti i diritti conseguenti, mentre in ben 11 gli Stati un bambino non può avere due madri o due padri come genitori legali. L’Italia non fa parte di questa categoria di Stati.
Benché in Italia ci sono stati dei passi avanti negli ultimi anni, tra cui la legge sulle Unioni Civili del 2016, è molto difficile pensare che il nuovo governo si impegnerà in questa direzione. Anche a livello comunitario le resistenze non sono poche, in particolare dagli Stati membri dell’Est. Basti pensare che la Romania, ad esempio, non ha mai applicato la sentenza della CGUE del 2018 sul riconoscimento delle coppie dello stesso sesso.
La lotta per il riconoscimento dei diritti non può mai esser data per scontata. Serve impegnarsi in ogni sede per il riconoscimento dei diritti delle Famiglie Arcobaleno, specialmente in questo particolare frangente in cui in Italia e in Europa si addensano nubi attorno al tema dei diritti civili.