Avvocati e giornalisti nel mirino, la Turchia di Erdogan cancella il diritto

Da parte di Erdogan c’è una chiara volontà intimidatoria. Ora chi avrà il coraggio di difendere chi viene accusato dal regime, se rischia a propria volta di finire in carcere per anni? E, ripeto, questo vale anche per i giornalisti”. Il caso dell’avvocatessa turca Ebru Timtik, 42 anni, morta dopo 238 giorni di sciopero della fame nonostante la sua richiesta di “un processo equo” per sé e per tutti in Turchia, muove le coscienze di molti nel mondo. In Italia, nel giro di due giorni, sono tante le associazioni di avvocati, o gli organismi dei magistrati, a prendere posizione e chiedere giustizia per i loro colleghi a Istanbul e ad Ankara, da anni in carcere con l’accusa di difendere terroristi, e ancora senza processo. Un’ondata che sta promuovendo dibattiti e iniziative di conferenze, ma anche pressioni sulla diplomazia e sul governo italiano perché si esprimano in maniera ferma verso Ankara.

Giuliano Pisapia, parlamentare europeo, già sindaco di Milano, è un uomo di legge che in Italia il diritto lo conosce come pochi. Figlio d’arte, è stato l’avvocato di politici e imprenditori, ma anche della famiglia di Carlo Giuliani, e a livello internazionale difese una ventina di anni fa il leader curdo del Pkk, Abdullah Ocalan, piombato all’improvviso a Roma: un caso che per due mesi sconvolse le relazioni fra Italia e Turchia. Pisapia ora è impegnato a Bruxelles, alla commissione Affari Esteri, dove proprio nei primi giorni della settimana si parlerà di Turchia e di diritti umani. Repubblica lo ha intervistato.

Giuliano Pisapia, com’è possibile che si processino gli avvocati in Turchia? E che non ottengano, come chiedeva Ebru Timtik, un “processo equo”?
“In Turchia la negazione e la violazione dello stato di diritto e dei diritti umani è purtroppo sistematica ormai da tempo. Negli anni ’80, da giovane avvocato ho assistito a Istanbul a processi contro deputati accusati, e condannati, solo per aver parlato in curdo in Parlamento. E da allora le cose sono cambiate solo in peggio, la repressione si è estesa: linguistica, etnica, religiosa, politica, di orientamento sessuale… Da parlamentare europeo mi chiedo come sia possibile che un Paese che è sull’uscio dell’Europa calpesti i valori più elementari del nostro comune vivere civile e non sia sottoposto a pesanti sanzioni, come sta accadendo al Venezuela o alla Bielorussia. E mi viene un dubbio atroce: è il ricatto sui migranti l’arma che permette l’impunità a un Paese guerrafondaio che ha bombardato la Siria e ha fomentato la guerra in Libia. O, e spero che non sia così, anche l’Europa e gli Stati democratici sono deboli con i forti e forti con i deboli?”.

Tutto questo mentre la repressione post golpe fallito del 2016 non accenna a diminuire, e viene anzi attuata verso ampie schiere di oppositori al governo.
“In Turchia da tempo stanno accadendo dei fatti terribili sul piano della repressione e non c’è alcuna forma di rispetto di regole anche minime dei diritti dei cittadini. Il caso di Ebru Timtik è drammatico per le sue modalità. Ma, purtroppo, non è certamente isolato. Ci sono violazioni quotidiane e sistematiche dei diritti umani. Avvocati, magistrati, giornalisti, uomini di cultura e tante altre categorie di persone vengono arrestate arbitrariamente e tenute in carcere per anni, con o senza processo che comunque spesso è solo una farsa. Nei mesi scorsi siamo rimasti sconvolti dalle tre morti dei componenti della band musicale Grup Yorum: 323, 288 e 228. Sono le giornate totali di sciopero della fame da loro condotto per denunciare le politiche di Recep Tayyip Erdogan che li ha portati alla morte”.

Tra gli elementi delle accuse contro gli avvocati c’è il fatto che parlino con i loro assistiti, accusati di terrorismo, e perciò vengono considerati collusi. Non è aberrante?
“Certo che lo è. Solo nelle dittature gli avvocati sono funzionali agli obiettivi politici e processuali dei regimi ed è quello che Erdogan vorrebbe. C’è una chiara volontà intimidatoria; chi avrà il coraggio di difendere chi viene accusato dal regime se rischia a propria volta di finire per anni in carcere? E, ripeto, vale anche per la stampa. Se vengono arrestati i giornalisti critici si manda un segnale chiarissimo a tutti: se si critica il governo si andrà in carcere a tempo indeterminato. La libertà, o addirittura la vita, dipendono dalla volontà del regime. Basti ricordare che, con la scusa di un tentativo di colpo di stato, sono stati arrestati anche centinaia di magistrati, giornalisti e di funzionari pubblici che credevano nella democrazia”.

Il caso di un avvocato che digiuna fino alla morte dimostra fino a che punto arriva la considerazione del diritto oggi sotto l’attuale governo turco?
“I casi purtroppo sono tanti. il 21 settembre inizierà il processo di avvocati turchi detenuti da oltre due anni e accusati di terrorismo per il solo fatto di aver difeso persone accusate di terrorismo. L’unica forma di ribellione a questa ingiustizia estrema è quella di lasciarsi morire di fame dopo aver rifiutato il cibo per molti mesi senza che questo portasse a nessun risultato. Il regime è stato sordo a questi gesti disperati. Una scelta drammatica presa da migliaia di persone. Quando i giudici decidono la scarcerazione vengono immediatamente sostituiti”.

In Europa, e soprattutto in Italia, ci sono ovunque, da Torino a Roma, da Ancona al Sud, decine di associazioni e ordini di avvocati, di magistrati anche, che si stanno muovendo con iniziative a sostegno dei loro colleghi turchi. Possono davvero essere efficaci, o niente fermerà Erdogan?
“E’ importante che ci siano reazioni in tutta Europa e che ci siano voci di sostegno a quanti soffrono. Ma Erdogan in questi anni ha dimostrato di essere del tutto indifferente a qualsiasi appello internazionale. Oltretutto la comunità internazionale è divisa e ha anch’essa molte colpe. Compresa l’Europa: penso in particolare alla gestione dell’arrivo dei migranti dal confine turco. Nel frattempo il progetto egemonico del leader turco prosegue senza sosta. L’intervento in Libia, il bombardamento della Siria, le esercitazioni navali vicino alla Grecia. Una politica sprezzante, muscolare e arrogante. Tutto questo va avanti e certo non ci sono segnali di un qualche intervento efficace da parte dell’Europa, di qualsiasi attore internazionale, per non parlare della Nato”.

Con Ebru Timtik c’è in sciopero della fame un altro suo collega dell’Associazione avvocati contemporanei: Aytac Unsal. Risulta allo stremo. Che cosa fare?
“E’ necessario fare quello che non è stato fatto in questi anni. Una mobilitazione immediata, e sanzioni anche economiche dell’Europa e dei singoli governi. Questo vale anche per il governo italiano e per questo mi aspetto che venga promossa una efficace azione diplomatica in tal senso”.

Lei la Turchia la conosce bene. Vent’anni fa era, assieme a Luigi Saraceni, l’avvocato di Abdullah Ocalan, il leader curdo del Pkk, rifugiatosi per due mesi in una villa all’Infernetto di Ostia. Apo (come veniva chiamato Ocalan), infine cacciato dal governo italiano, finì catturato in Kenya dalle teste di cuoio turche, e da allora vive confinato all’ergastolo nell’isola prigione di Imrali, sul Mare di Marmara. Era una terrorista o no?
“Ocalan è venuto in Italia con la volontà vera e concreta di una pace duratura. La questione curda è antica e drammatica. Dico solo che il popolo curdo ha combattuto, spesso isolato, contro l’Isis. Le donne curde hanno combattuto per la giustizia e la libertà e, quando la Turchia le ha bombardate, l’Occidente le ha abbandonate, come purtroppo è accaduto troppe volte nella storia di quel popolo“.

C’è un episodio che ricorda in particolare della sua difesa di Ocalan?
“Con Saraceni avevamo acquistato un biglietto aereo per partire verso Istanbul, e andare a difenderlo dopo il suo arresto. L’ambasciatore italiano ad Ankara ci aveva avvertito mentre eravamo quasi sulla scaletta: è meglio che non partiate, perché rischiate che vi rimandino indietro o addirittura l’arresto. Intervenne Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Repubblica, ma soprattutto uomo di diritto. Era allibito. Ci disse: “E’ inaccettabile che vi impediscano di vedere e di parlare con il vostro assistito, e che non possiate esercitare il diritto di difesa. Parlerò con le autorità turche”. Una settimana dopo ci richiamò: “Mi dispiace – ci disse deluso – non c’è proprio niente da fare. Evidentemente il diritto di difesa non vale per tutti”.