Ucraina: un’adesione ancora lontana

Il 17 giugno la Commissione europea ha formalmente raccomandato la concessione dello status di candidato Ue a Ucraina e Moldavia, che ne avevano fatto richiesta a fine febbraio (Ucraina) e inizio marzo (Moldavia).
La Georgia, che aveva inviato la sua richiesta assieme alla Moldavia, non è invece stata ancora considerata dalla Commissione pronta ad ottenere lo stato. Quest’ultima, però, ha comunque sostenuto che la prospettiva di Tbilisi non può che essere dentro l’Unione e che, con le necessarie riforme, potrà anch’essa intraprendere il cammino comunitario.
Il 24 giugno, il Consiglio europeo ha confermato con un voto all’unanimità lo stato di Paesi candidati a Ucraina e Moldavia.
Tale decisione fortemente simbolica non può però essere interpretata come un ok definitivo dell’Ue
all’adesione dell’Ucraina nell’Ue.
Il percorso di accessione è infatti molto lungo e consta di tappe alquanto complicate e criteri ben precisi. Negli ultimi mesi molti Stati membri hanno perciò ricordato ai Paesi aspiranti candidati che, nonostante l’enorme volontà politica, l’accessione all’Ue non può avvenire tramite “fast track”, ossia tramite corsie preferenziali.

Le tappe del processo di adesione

Secondo l’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, uno Stato europeo può domandare di diventare membro dell’Unione rispetta e si impegna a promuovere i valori di cui all’articolo 2 del trattato sull’Unione europea, ossia il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza e lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.
Inoltre, lo Stato richiedente deve soddisfare i criteri di ammissibilità dell’UE, che sono comunemente noti come i criteri di Copenaghen, poiché definiti dal Consiglio europeo che si è svolto a Copenaghen nel giugno 1993.

Tali criteri sono i seguenti:
– la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti
dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;
– l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione;
– la capacità di assumere e attuare efficacemente gli obblighi inerenti all’adesione, compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.

La concessione dello status di candidato, votata all’unanimità dal Consiglio previa consultazione della Commissione e previa approvazione della maggioranza del Parlamento, non equivale però all’avvio delle negoziazioni formali, i quali rappresentano la tappa successiva del processo di adesione e devono essere approvati dal Consiglio dell’Ue.
Ad esempio, la Turchia fece richiesta per lo status di candidato nel 1987, ma lo ottenne solo nel 1999. Eppure, nonostante ciò, le negoziazioni formali furono aperte nel 2005.
Dopo anni di riforme, la Turchia ha fatto significativi passi indietro specialmente in materia di stato di diritto e democrazia, e perciò oggi il processo è stato praticamente congelato fino a che Ankara non tornerà sui suoi passi.

Il caso turco è l’esempio lampante di quanto un processo di adesione, iniziato ben 35 anni fa, sia assolutamente lontano dal suo completamento.
Altri esempi di quanto il processo consti di numerosi anni di dibattito e rischi di veti incrociati in seno al Consiglio si trovano nei Balcani occidentali: la Macedonia del Nord ha ottenuto lo status di Paese candidato nel 2005, il Montenegro nel 2010, la Serbia nel 2012 e l’Albania nel 2014.
Di questi, solo Serbia e Montenegro hanno avviato i negoziati formali, ma sono ben lontani da diventare Paesi membri.
La Bosnia ed Erzegovina, invece, è ancora in attesa dello status di candidato dal 2016.
Il caso della Macedonia del Nord è l’esempio più lampante di quanto la regola dell’unanimità possa essere fattore frenante del processo di allargamento Ue. La concessione dello status di candidato a Skopje è infatti da lungo tempo bloccata dalla Bulgaria per dispute storiche e linguistiche tra i due Paesi.
Molti ritengono che l’Ue necessiterebbe di una riforma dei Trattati prima che venga dato nuovo vigore al processo di allargamento.
Certo è che negli anni a venire sarà indispensabile trovare un modo per conciliare le aspirazioni europee dei nostri vicini ad est e la necessità di costruire un’Unione pronta alle sfide del domani e non schiava dei veti incrociati dei governi.