L’adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul

Convenzione di Istanbul
Mercoledì 15 febbraio 2023 il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (469 voti favorevoli, 104 contrari e 55 astenuti) una risoluzione sull’adesione dell’Ue alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, più comunemente conosciuta come Convenzione di Istanbul.

Non è la prima volta che il Parlamento ha preso una posizione forte e netta sui diritti delle donne e sulla necessità di combattere le disuguaglianze di genere e porre fine alle violenze contro le donne, problemi che ancora affliggono tutti i Paesi europei, nessuno escluso. I dati ufficiali a livello europeo ci mostrano un quadro preoccupante. Nell’intero territorio dell’Ue una donna su tre (oltre 62 milioni) ha subito violenze fisiche e/o sessuali e oltre la metà delle donne nell’Ue (il 55%) ha subito molestie sessuali. Alle violenze fisiche si aggiungono quelle psicologiche, anch’esse conseguenza della disuguaglianza e della discriminazione di genere.

L’importanza della Convenzione di Istanbul
Le cifre preoccupanti e diffuse in tutto il continente e la necessità di norme giuridiche armonizzate per tutelare le donne hanno portato gli Stati membri del Consiglio d’Europa a elaborare la Convenzione di Istanbul, firmata nel 2011 ed entrata in vigore nel 2017.
La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante e il suo campo di applicazione si estende a tutte le forme di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica. In particolare, la Convenzione definisce le diverse forme di violenza nei confronti delle donne in specifici articoli, tra cui la violenza psicologica (articolo 33), lo stalking (articolo 34), violenza fisica (articolo 35), violenza sessuale e stupro (articolo 36), matrimonio forzato (articolo 37), mutilazioni genitali femminili (articolo 38), aborto e sterilizzazione forzati (articolo 39) e molestie sessuali (articolo 40).

L’approccio scelto dalla Convenzione per tutelare le donne e le vittime è quello delle cosiddette “quattro P”:
Prevenzione: la Convenzione include l’obbligo generale di prevenire la violenza contro le donne ed enuncia misure preventive dettagliate a tale scopo;
Protezione: il testo esorta gli Stati ratificanti ad adottare misure volte a sostenere le persone a rischio di violenza;
Procedimento penale: si incentiva l’elaborazione di un solido quadro normativo penale per assicurare giustizia alle vittime e procedere contro i responsabili e porre fine all’impunità;
Politiche integrate: gli Stati ratificanti devono fornire una risposta unitaria alla violenza con politiche integrate, globali e coordinate, che mirino a eliminare alla radice le cause della violenza e pongano al centro le esigenze delle vittime.

Attualmente la Convezione è stata sottoscritta da tutti gli Stati membri dell’UE ma ratificata solo da 21. Bulgaria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria non hanno completato l’iter legislativo per rendere la loro adesione alla Convenzione efficace a tutti gli effetti.

Le posizioni delle Istituzioni europee
Già nel 2014, anno della sua entrata in vigore, il Parlamento europeo aveva chiesto alla Commissione europea di avviare la procedura di adesione dell’intera Unione europea alla Convenzione.

Nel 2015 la Commissione ha pubblicato una tabella di marcia per l’adesione dell’Ue e l’anno successivo ha presentato due proposte di decisione del Consiglio, una sulla firma e l’altra sulla ratifica. Il Consiglio ha poi adottato due decisioni includendo non solo la cooperazione giudiziaria in materia penale ma anche le questioni relative all’asilo e al non respingimento. Queste decisioni hanno portato alla firma della Convenzione da parte dell’Ue il 13 giugno 2017.

Il processo di ratifica è stato purtroppo decisamente più impervio. Per fare un fondamentale passo in avanti il Parlamento ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Ue di pronunciarsi sulla necessità o meno di un “comune accordo” tra tutti gli Stati membri a essere vincolati alla Convenzione.
Il 6 ottobre 2021 la CGUE ha deliberato che l’adozione della decisione sulla ratifica non necessitava l’unanimità ma soltanto la maggioranza qualificata. Nonostante il parere della Corte, alcuni governi conservatori si sono opposti al dibattito sull’adesione sostenendo che la Convenzione veicolerebbe “ideologie” che minacciano i valori della “famiglia tradizionale”.

Dopo anni di stallo, i lavori in seno al Consiglio si sono sbloccati. Il 21 febbraio 2023, con un voto a maggioranza qualificata, il Consiglio ha finalmente chiesto il consenso al Parlamento per la ratifica della Convenzione. Con l’approvazione del Parlamento europeo, il Consiglio dovrebbe concludere la procedura con voto a maggioranza qualificata probabilmente a giugno.

La via da seguire
L’adesione dell’Ue alla Convenzione costituirà un grande passo in avanti nella lotta contro la violenza di genere, ma comporterà una copertura giuridica limitata alle competenze dell’Unione. Rimane quindi urgente la ratifica dei sei Stati Ue mancanti e un lavoro più costante da parte di tutti gli Stati membri della Convenzione sui loro quadri giuridici e per l’implementazione di politiche più ambiziose in materia.

Durante la pandemia Covid-19 i Paesi europei hanno infatti registrato un aumento della violenza domestica e una diminuzione dell’accesso ai servizi essenziali. E L’Italia? Una relazione di valutazione del Gruppo di esperte/i sulla violenza contro le donne (GREVIO) – l’organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul nei Paesi ratificanti – ha evidenziato che, pur in presenza di un impegno incessante sul territorio italiano di tantissime associazioni, è indispensabile che il legislatore nazionale faccia concreti passi in avanti, in particolare sui temi dell’accesso alla giustizia e della tutela delle vittime.

Purtroppo l’attuale il governo non solo non ha dimostrato particolare interesse sulla questione, ma ha spesso interpretato il tema dell’uguaglianza di genere in termini solo di politiche per la famiglia e la maternità. Anche per questo è sempre più indispensabile e urgente un cambio di rotta, affinché venga posta fine a qualsiasi discriminazione e violenza.