Dalla parte dei Diritti del popolo polacco

Da ormai due settimane in Polonia sono in corso delle manifestazioni di massa scatenatesi dopo la sentenza del “Tribunale costituzionale” che impedisce quasi totalmente la possibilità di aborto, rendendo ancora più restrittiva una legge tra le più rigide in Europa.

In Polonia il dibattito sull’aborto è tutt’altro che recente e periodicamente riaffiora da circa trent’anni. Nel 1993, una legge ha vietato l’interruzione di gravidanza anche nelle prime 12 settimane con pochissime eccezioni: quando la salute della donna è in pericolo, quando si verifica uno stupro e quando il feto presenta malformazioni. Tali restrizioni limitano il numero di aborti legali a circa un migliaio all’anno; la realtà però è molto diversa. Organizzazioni non governative stimano infatti che oltre 100 mila donne l’anno vi facciano ricorso clandestinamente in Polonia o recandosi all’estero.

Facendo leva sui valori tradizionali e sul sentimento religioso esasperandone i principi, il partito ultraconservatore Diritto e Giustizia (PiS), al governo dal 2015, aveva già tentato di limitare ulteriormente l’aborto in due occasioni ma sia nel 2016 che nel 2018 le proposte legislative sono state ritirate dopo le proteste diffuse in tutto il Paese.

Dopo la recente sentenza del “Tribunale costituzionale” il Governo polacco si è dichiarato pronto a far propria la sentenza e a proporre una ulteriore restrizione dell’attuale legge.

Immediate sono state le proteste e la mobilitazione del movimento Strajk Kobiet (“lo sciopero delle donne”) che ha ricevuto il sostegno di studenti, lavoratori, attivisti LGBT. Le immagini provenienti dalle strade di Varsavia sono forti e trasmettono speranza. La mobilitazione massiccia delle donne ha riunito tutti coloro che credono nell’inviolabilità dei diritti fondamentali e nella tutela delle minoranze sempre più minacciate dal governo liberticida di Kaczyński e Duda. Le richieste della piazza sono chiare: allineamento ai principi europei, maggiore assistenza sanitaria, coperture sociali per le fasce più deboli, laicità dello Stato e dei suoi apparati.

Il movimento raccoglie e amplifica il grido dei numerosi polacchi stanchi delle violazioni dei diritti umani e delle politiche oscurantiste del governo, tra cui l’avvio della procedura per l’uscita della Polonia dalla Convenzione di Istanbul, trattato internazionale che vincola le parti a prevenire le violenze domestiche, proteggerne le vittime e processare i colpevoli.

Le organizzazioni LGBT sono tornate nelle strade dopo la repressione delle proteste contro la politica omofoba dell’attuale governo. Il Presidente Andrzej Duda, dopo aver definito l’omosessualità come una “ideologia più pericolosa del comunismo”, sta intervenendo con tutti i mezzi per limitare sempre più l’autonomia e indipendenza della Magistratura. Il Consiglio d’Europa – organizzazione internazionale che promuove lo stato di diritto, la democrazia e i diritti umani – ha dichiarato che le corti polacche non possono più essere considerate “imparziali e indipendenti”.
Anche per questo motivo ci siamo impegnati in Parlamento affinché l’elargizione dei fondi europei, che hanno permesso alla Polonia di uscire dalla palude della stagnazione economica, siano condizionati al rispetto dello stato di diritto.