AL VIA L’ITER PER UCRAINA E MOLDAVIA PER ENTRARE NELL’UNIONE EUROPEA
Il dado è tratto.
Il Consiglio europeo del 23 e 24 giugno ha concesso all’Ucraina e alla Moldavia lo status di Paese candidato per far parte dell’Unione europea. Una scelta che il Parlamento europeo aveva già sollecitato votando a larga maggioranza una risoluzione affinché l’Ucraina possa guardare avanti e sperare in un futuro prospero e di pace all’interno dell’Unione.
È un segnale molto importante ma rimane per ora sostanzialmente un segnale ‘politico’ perché le regole e le procedure per entrare a tutti gli effetti nell’Unione impongono un iter ancora molto lungo e non privo di ostacoli.
Qui troverete un articolo di approfondimento.
Bisogna infatti ricordare che il processo di adesione all’Ue ha regole precise e incontestabili, tra cui il rispetto dei criteri di Copenaghen, e che l’Ucraina abbia ancora tanta strada da fare per riuscire ad aprire i negoziati di adesione.
Sia il Parlamento che la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno infatti sottolineato la necessità che l’Ucraina ‘faccia delle importanti riforme’, opinione condivisa da molti Stati membri.
Il cammino verso l’adesione all’Ue necessita infatti di un fortissimo impegno politico, e i suoi tempi sono tutt’altro che brevi. Lo dimostra il fatto che Macedonia del Nord ha ottenuto lo status di Paese candidato nel 2005, il Montenegro nel 2010, la Serbia nel 2012 e l’Albania nel 2014.
Tuttavia, l’Ue ha avviato i negoziati formali solo con Belgrado e Podgorica, e sono ancora ben lontani dall’essere conclusi.
Proprio il Consiglio di giugno non è riuscito a trovare un accordo per sbloccare lo stallo del processo di adesione di questi Paesi e inviare un segnale positivo nei Balcani occidentali prima che alcuni Stati rinuncino per frustrazione al sogno europeo e abbiano la tentazione di rivolgersi altrove, ossia a Mosca e Pechino.
In particolare, la concessione dello status di candidato a Skopje è stato ripetutamente bloccato dal veto della Bulgaria per dispute storiche, linguistiche e identitarie.
Il nodo è sempre lo stesso: l’Ue è bloccata dalla regola che concede a ognuno dei 27 componenti il diritto di veto. Le decisioni all’interno del Consiglio devono essere prese all’unanimità, sistema che ha dimostrato platealmente tutti i suoi limiti anche recentemente con il veto polacco e ungherese sulla ‘minimum tax’ e quello di Orbán sull’embargo al petrolio russo come anche il blocco, al momento, sul price cap energetico da parte dell’Olanda e paesi nordici. Solo una vera riforma dei Trattati, come chiesto dal Parlamento e dal gruppo dei Socialisti e Democratici, può sbloccare questa situazione di stallo.
Il Parlamento europeo ha dimostrato più volte di essere all’altezza delle sfide della storia, al contrario del Consiglio che spesso vede dominare gli egoismi dei singoli Stati membri.
I nostri governi devono rafforzare il dialogo e impegnarsi per andare oltre gli interessi nazionali ed evitare che i tanti Paesi che credono nell’Unione europea, a partire dall’Ucraina, non vedano le loro speranze trasformarsi in delusioni. Sarebbe una sconfitta drammatica per l’intera Europa e per le sue aspirazioni di democrazia e libertà.