VERSO L’INIZIO DI UN NUOVO CAPITOLO A WASHINGTON

Pochi giorni fa, Joe Biden è stato eletto 46° Presidente degli Stati Uniti, risultando persino il candidato Presidente più votato nella storia del Paese.

Le cittadine e i cittadini statunitensi hanno votato anche per eleggere le/i loro rappresentanti alla Camera, elette/i ogni 2 anni, e un terzo dei rappresentanti del Senato, che rimarranno in carica per 6 anni. In alcuni Stati si è votato anche a livello locale.

Ma come funzionano esattamente le elezioni statunitensi?

Il voto anticipato e il voto via posta

Secondo le leggi USA, si vota sempre il martedì successivo al primo lunedì di novembre.

Tuttavia, gli elettori possono anche votare nei giorni precedenti o via posta, secondo i criteri stabiliti per legge da ogni singolo Stato.

Quest’anno, la massiccia mobilitazione della società civile ha portato circa 100 milioni di persone a usufruire del cosiddetto “early voting” (voto anticipato) e del voto via posta.

Nel complesso, in queste elezioni si è raggiunta un’affluenza del 67%, la più alta mai registrata: 151 milioni di votanti circa contro i 136 milioni del 2016.

Il ruolo dei grandi elettori

Il sistema presidenziale statunitense non avviene per elezione diretta: le cittadine e i cittadini eleggono infatti i “grandi elettori”, che a loro volta saranno chiamati a scegliere il Presidente.

Ogni Stato ha diritto a 2 grandi elettori, più altri aggiuntivi in base alle dimensioni della propria popolazione. La California, ad esempio, ha ben 55 grandi elettori, mentre il Vermont soltanto 3.

La vittoria di un candidato è considerata certa quando riesce ad assicurarsi almeno 270 grandi elettori su 538 – numero che corrisponde alla somma dei rappresentanti alla Camera (435) e al Senato (100), più i 3 rappresentanti del distretto di Columbia.

Secondo il principio “winner takes all” (esistente in tutti gli Stati tranne Maine e Nebraska), il candidato che vince anche solo di un voto in uno Stato, ottiene tutti i grandi elettori di quello Stato.

Le richieste di cambiamento del sistema elettorale americano hanno preso sempre più piede negli ultimi anni, specialmente in seguito alla vittoria di Donald Trump nel 2016, nonostante Hillary Clinton avesse ottenuto 4 milioni di voti in più del candidato repubblicano.

Cosa sono gli “swing states”?

Durante lo spoglio, i cosiddetti “swing states” – ossia gli stati in bilico – sono quelli che tengono opinionisti e telespettatori col fiato sospeso per ore e persino giorni. Gli Stati contesi cambiano ovviamente nel corso del tempo, ma nelle ultime elezioni il Midwest e gli Stati della cosiddetta Rust Belt si sono dimostrati ancora una volta decisivi.

Rinconteggio dei voti e Inaguration Day

Come già molti immaginavano, Trump chiederà il riconteggio delle schede negli Stati dove vi è stato un ristretto margine di vittoria da parte di Biden. Tuttavia, per legge tutte le problematiche elettorali devono essere risolte entro l’8 dicembre, poiché il 14 dicembre il nuovo Presidente dovrà essere ufficialmente eletto dai grandi elettori.

Il giorno dell’investitura (Inauguration Day) è il 20 gennaio successivo alle elezioni.

La rappresentatività delle donne e delle minoranze

Joe Biden ha scelto Kamala Harris come sua Vice-Presidentessa.

Harris sarà la prima donna ad assumere tale carica, ed è stata la prima persona nera in assoluto ad esser stata candidata da uno dei due partiti principali come VP.

Entrambi i genitori di Harris sono immigrati negli Stati Uniti e si sono incontrati all’Università di Berkeley: la mamma, ricercatrice sul cancro al seno, era originaria del sud dell’India, mentre il padre, economista e professore emerito all’Università di Stanford, ha origini giamaicane.

Harris non è il solo esempio che dimostra che sia possibile allargare le maglie della rappresentatività nei Paesi democratici. Anche le elezioni alla Camera e al Senato statunitensi hanno visto donne e rappresentanti delle minoranze ottenere dei seggi importanti.

Al gruppo progressista della Camera – conosciuto col nome di SQUAD – aderiranno Cori Bush (attivista del movimento Black Lives Matter), Jamaal Bowman e Mondaire Jones (primi Deputati afroamericani apertamente gay) affiancati alle carismatiche Alexandra Ocasio-Cortez, Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib.

Altri membri delle minoranze hanno ottenuto primati importanti durante queste elezioni.

La Georgia, ad esempio, ha eletto Kimberly Jackson, prima Senatrice nera LGBTQI eletta in tale Stato.

Sarah McBride sarà la prima Senatrice transgender nella storia degli Stati Uniti e Stephanie Byers la prima Senatrice transessuale eletta in Kansas. Byers (anche membro del popolo nativo-americano Chickasaw).

Alla Camera, invece, le due Deputate democratiche nativo-americane Deb Haaland and Sharice Davids hanno confermato il loro seggio, e saranno affiancate dalla repubblicana Yvette Herrell, membro del popolo Cherokee.

Herrell non è l’unica donna repubblicana vincente: durante queste elezioni, il Partito Repubblicano ha visto infatti raddoppiare il numero di donne elette tra le proprie fila.

Tuttavia, la parità di genere fra i rappresentanti eletti è ancora lontana. Il totale delle elette costituisce infatti solo un quarto del totale dei seggi alla Camera e al Senato.

L’aumento dei partecipanti al voto, dei nuovi eletti e del maggior numero di donne elette è certamente un dato di fatto positivo che costituisce un esempio per chi crede fortemente nell’importanza della rappresentatività delle donne e delle minoranze.

Tuttavia, il Paese rimane ancora fortemente diviso e l’opinione pubblica nettamente polarizzata. Come in Italia, le elezioni hanno dimostrato delle nette differenze tra città e periferie, centri urbani e campagne.

Il nuovo Presidente dovrà perciò essere capace di ascoltare tutte le parti e di rimarginare le ferite causate da 4 anni di politiche discriminatorie e di forti divisioni. Da parte nostra, qui dall’altra parte dell’Atlantico, tiriamo un sospiro di sollievo nella convinzione, e nella speranza, che cambieranno e miglioreranno anche i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea.