Sulle relazioni Unione europea e Turchia

Ormai da qualche anno, e in particolare negli ultimi mesi, le difficili relazioni tra Unione europea e Turchia sono una delle questioni più discusse in seno all’Unione europea. Il recente incidente diplomatico durante la visita dei vertici UE ad Ankara, rinominato poi come sofagate, è solo l’ultimo di una lunga serie di sgarbi e di contrasti, anche forti, da parte del regime di Erdoğan. Ricordiamo, tra i più recenti, le forti tensioni con la Grecia nel Mediterraneo orientale l’estate scorsa, il perenne rapporto conflittuale con Cipro, gli interventi militari in Siria e in Libia, il vergognoso ritiro dalla Convenzione di Istanbul, le repressioni contro i deputati e i sindaci kurdi e l’attuale minaccia di chiusura del partito filo-curdo HDP. La crescente assertività di Ankara in diversi contesti di crisi e la sua politica estera sempre più autonoma e isolata ha fatto riaccendere animatamente le discussioni su che direzione stia prendendo la Turchia e, soprattutto, quale debba essere il nostro approccio nei suoi confronti.

Una relazione di vecchia data

Nel 1995, la Turchia ha siglato con l’Unione europea un accordo di unione doganale; nel 1999 ha ottenuto lo status di candidato all’adesione. Tra il 1999 e il 2004 il Paese ha fatto limitate, ma significative e importanti riforme per il raggiungimento dei criteri di Copenaghen (i requisiti necessari per l’ammissione all’UE) e, in particolare, quelle volte ad assicurare la stabilità delle istituzioni, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle minoranze. In questo contesto, l’abolizione della pena di morte è stato un segnale positivo che sembrava la premessa per ulteriori passi in avanti. Nel 2002, il partito AKP di Erdoğan, che aveva vinto le elezioni per la prima volta, si impegnò in una decisa campagna di riforme pro-Unione europea, contribuendo ad aumentare il consenso dell’opinione pubblica turca a favore dell’adesione all’Unione europea. Purtroppo, alle parole e agli impegni non sono seguiti i fatti. I negoziati di adesione sono stati formalmente avviati nel 2005 ma, ad oggi, solo uno dei 35 capitoli negoziali è stato concluso e le cose sono cambiate drammaticamente.

Gli ostacoli al processo di adesione, principalmente legati all’irrisolta questione cipriota, la crescente opposizione di Stati membri come la Francia e l’allontanamento della Turchia dagli standard democratici europei, hanno prima rallentato e poi bloccato il processo di adesione. La stagnazione economica e il raffreddamento del processo di adesione hanno favorito la svolta nazional-populista di Erdogan. Il Presidente turco ha messo in campo i valori tradizionali e le nostalgie ottomane per nascondere all’opinione pubblica le mancate riforme e lo stallo dell’economia che fino ad allora era cresciuta interrottamente.

Nel 2016, la repressione, motivata da un “tentato” e in realtà “asserito” golpe, ha comportato arresti extragiudiziali di massa, soppressione di libertà fondamentali e gravi attacchi alle minoranze e opposizioni democratiche. Comprensibilmente, il Consiglio dell’Unione europea, dove sono rappresentati i governi nazionali, ha di fatto congelato il processo di accessione.

Nel 2019, il Parlamento europeo ha votato anche una risoluzione che chiedeva anche la sospensione formale dei negoziati con la Turchia.

Di fronte a un bivio: ripensare le nostre relazioni

I nostri rapporti con la Turchia rappresentano una questione divisiva all’interno dell’Unione europea. Da una parte, il Consiglio e la Commissione continuano ad offrire un’“agenda positiva” alla Turchia al fine di cooperare sulla questione migratoria e in particolare sulla gestione dei flussi che riguarda quasi 4 milioni di rifugiati siriani. La recente visita diplomatica ad Ankara di Charles Michel e Ursula von der Leyen aveva proprio lo scopo di rilanciare le relazioni euro-turche promettendo finanziamenti e accordi commerciali in cambio di maggiore collaborazione sul campo “umanitario”.

Sull’altro fronte, il Parlamento europeo, pur riconoscendo il ruolo strategico della Turchia, ha condannato in diverse relazioni le continue violazioni, da parte del governo Turco, dei diritti umani, dello stato di diritto e del diritto internazionale. Il Parlamento europeo ha anche votato una risoluzione in cui si chiedevano sanzioni nei confronti della Turchia.
Gli appelli e le minacce debbono però avere un seguito. In mancanza di concreti ed efficaci segnali di apertura e di cambiamento da parte di Ankara, l’Unione dovrebbe prenderne atto e agire di conseguenza. Se, in tempi brevi, non si sarà una svolta il percorso di adesione all’Ue non sarà altro che una chimera. In più occasioni il Parlamento europeo ha auspicato l’applicazione di sanzioni, la sospensione della vendita di armamenti e il congelamento dell’unione doganale che è linfa vitale per l’economia turca. Con la nuova amministrazione statunitense, si potrebbe anche valutare un ripensamento del ruolo della Turchia nella NATO. Un alleato che disprezza i princìpi base della democrazia e mostra i muscoli contro un Paese della famiglia europea non può essere un nostro alleato.