Sul piano Trump per il conflitto mediorientale
Il 28 gennaio, il Presidente statunitense Donald Trump ha presentato il suo “accordo del secolo”, che secondo l’attuale amministrazione statunitense risolverebbe il decennale conflitto israelo-palestinese.
Il piano di 180 pagine, redatte senza alcun coinvolgimento dei rappresentanti palestinesi ma con il contributo della destra israeliana, contrasta profondamente con il principio dei due Stati e la necessità di riavviare un tavolo dei negoziati mirato alla creazione di uno Stato palestinese secondo i confini del 1967 e alla coesistenza in pace dello stesso con lo Stato di Israele.
La proposta dell’attuale amministrazione statunitense propone uno stravolgimento delle cartine geografiche attraverso una modifica sostanziale dei confini di Israele. Il paese infatti annetterebbe ufficialmente la Valle del Giordano e tutti i suoi insediamenti illegali in Palestina. Anche la città di Gerusalemme nella sua interezza sarebbe incorporata nello Stato ebraico in contrasto con tutte le risoluzioni approvate in materia dalle Nazioni Unite. Come contropartita, Israele si impegnerebbe a congelare la sua espansione territoriale per quattro anni. Questa “soluzione” ridurrebbe il futuro Stato palestinese a un insieme di piccole isole separate l’una dall’altra dal territorio israeliano.
Così ridotta a un insieme di piccole enclave, la Palestina non avrebbe alcuna caratteristica di uno Stato moderno: non avrebbe continuità territoriale, non controllerebbe i propri confini, e non controllerebbe il proprio territorio. Le strade infatti rimarrebbero sotto il controllo di Israele che perpetuando la sua occupazione continuerebbe a imporre i suoi checkpoint.
La proposta di Washington premierebbe quindi l’occupazione illegale di territori stranieri. Un fatto gravissimo per i diritti della popolazione palestinese, riconosciuti dall’ONU, e un grave precedente per il diritto internazionale.
Le gravi violazioni del diritto internazionale non si fermano qua.
Nel 1948, circa 700 mila palestinesi, oggi diventati 5 milioni, furono costretti a lasciare la propria casa e cercare rifugio al di là di quello che sarebbe poi diventato il confine israeliano. La risoluzione 194 dell’ONU sancisce il diritto di questi rifugiati e dei loro discendenti di fare ritorno nella loro terra nell’attuale Israele.
L’accordo propone anche un aiuto finanziario al costituente Stato palestinese ma manca dei dettagli necessari per poterlo giudicare. Esso si limita a festosi annunci che in qualche modo possono suonare familiari: “50 miliardi di dollari per abolire la povertà”.
La mancanza totale di un tentativo di mediazione, di un’azione diplomatica preventiva per definire comunemente i contenuti dell’accordo, l’assenza totale dei dettagli se non per le parti concernenti l’estensione territoriale di Israele sembrano indicare che lo scopo dell’attuale amministrazione americana non sia il rilancio serio ed efficace del processo di pace. Al contrario, la proposta, poco credibile quanto sfacciata e provocatoria, tradisce motivi elettorali interni.
La competizione elettorale per la Casa Bianca è alle porte e, come avvenuto nella precedente tornata, Trump necessita dell’appoggio politico e finanziario della destra evangelica e degli ambienti ultra-conservatori ebraici. Il loro appoggio è fondamentale soprattutto negli stati in bilico, a partire dalla Florida dove a dicembre il Presidente ha tenuto un discorso di fronte al Consiglio Americano-Israeliano definendosi il miglior amico di Israele.
La strumentalizzazione di situazioni complesse e delicate per motivi elettorali è un’abitudine ormai troppo frequente e rispetto alla quale la politica italiana ed europea non è purtroppo totalmente estranea. È in momenti così incerti che per far prevalere la ragione e la logica dobbiamo stringerci nell’Unione Europea. Solo insieme, infatti, potremo esprimere un’alternativa seria e credibile.
Concordo quindi con l’Alto Rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell. La soluzione negoziata deve essere “fondata su due Stati, sulla base delle linee del 1967, con equivalenti scambi di terre, come possono essere concordati tra le parti, con lo Stato di Israele e con uno Stato di Palestina indipendente, democratico, contiguo, sovrano e vitale, che viva fianco a fianco in pace, sicurezza e riconoscimento reciproco – come stabilito nelle conclusioni del Consiglio del luglio 2014.”