Sul cessate il fuoco in Libia

Dal fronte libico è finalmente arrivata la notizia che aspettavamo da tanto: dopo lunghi anni di caos e conflitto interno, le Nazioni Unite hanno annunciato il raggiungimento di un accordo per un cessate il fuoco permanente. L’accordo è stato firmato venerdì 23 ottobre a Ginevra dai rappresentanti delle parti coinvolte nel conflitto: la fazione guidata da Fayez al-Serraj, primo ministro del Governo di Accordo Nazionale con sede a Tripoli (l’unico riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale), e quella guidata dal maresciallo Khalifa Haftar, a capo dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico sostenuto da diversi attori come Arabia Saudita, Egitto e Russia.

Le due parti hanno concordato un accordo completo, a livello nazionale e permanente con effetto immediato. Secondo l’intesa raggiunta, che sottolinea l’integrità territoriale della Libia e la protezione dei confini, le parti si impegnano ad astenersi dall’occupare i giacimenti petroliferi del paese, a rinunciare alla propaganda reciprocamente ostile, a garantire l’apertura delle strade principali e dei voli interni, e a dar vita a una politica nazionale comune condivisa tra tutte le istituzioni politiche e di sicurezza dello Stato nel rispetto dei diritti umani. L’intesa prevede inoltre il ritiro dalla Libia entro tre mesi di tutti i combattenti e mercenari stranieri, e la sospensione di tutti gli accordi di addestramento sottoscritti con gli altri Stati.

La Rappresentante Speciale dell’ONU in Libia, Stephanie Turco Williams, che ha condotto i colloqui di mediazione tra le parti, ha definito il cessate il fuoco come un momento storico, ma ha al tempo stesso dichiarato che la strada da percorrere rimane “lunga e difficile”. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres si è altrettanto congratulato con le parti per aver fatto prevalere l’interesse della nazione sulle loro divergenze. Anche l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (una sorta di Ministro degli esteri europeo) Josep Borrell ha accolto positivamente la decisione e ha promesso il sostegno dell’Europa al processo di pacificazione.

Non dimentichiamo che in passato diverse iniziative di pace sono fallite, anche e soprattutto a causa del ruolo pressoché irrilevante dell’Unione europea. Nonostante la vicinanza geografica, gli interessi geopolitici e i legami storici che la legano alla Libia, l’Unione ha spesso preferito osservare passivamente senza assumersi alcuna responsabilità. Gli Stati membri che spesso privi di una visione comunitaria preferiscono agire in autonomia, hanno impedito all’UE di svolgere un ruolo diplomatico e di leadership nella culla della nostra civiltà, il mar Mediterraneo. Al contrario, abbiamo assistito alle sempre crescenti e dominanti ingerenze straniere nella regione, in particolare della Russia e della Turchia, che hanno inviato mercenari, grandi quantità di armi e supporto tecnologico alle fazioni rispettivamente appoggiate.

È fondamentale dunque che, a differenza del passato, l’Europa assuma in questa nuova fase un ruolo di rilievo nel mantenimento della tregua. La fase di costruzione della pace (peace building) è molto più delicata della guerra in sé: occorre il più alto livello di coordinamento interno e l’utilizzo di ogni tipo di strumento diplomatico a nostra disposizione per lanciare messaggi chiari e non contraddittori.

Serve un’Europa che intraprenda azioni concrete, che sieda ai tavoli negoziali più importanti dello scacchiere internazionale e che agisca da mediatrice. Un’Europa determinata e presente nel processo di mantenimento della pace. Come diceva Albert Einstein, “la pace non può essere mantenuta con la forza, può essere raggiunta solo con la comprensione”. Noi che, come ricorda il motto del Parlamento europeo, siamo uniti nella diversità, possiamo e dobbiamo mettere la nostra esperienza al servizio del popolo libico.