Obiettivo la messa in sicurezza di donne, uomini e bambini in fuga dalla guerra in Libia

Lo scorso 27 aprile si è riunita la Commissione LIBE -libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo che è competente sulla Libia per gli aspetti umanitari e in materia di migrazione. Nonostante il recente appello di Antonio Guterres, segretario delle Nazioni Unite, per il cessate il fuoco nelle zone di guerra in tutto il mondo con l’intento di salvaguardare i civili dalla pandemia, la situazione in Libia non ha accennato ad alcun miglioramento. Neanche la pandemia è riuscita a fermare o per lo meno a congelare la guerra. Al contrario, il generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito nazionale libico, ha approfittato della pandemia, che vede i membri della comunità internazionale impegnati sul fronte interno, per autoproclamarsi capo dell’intera nazione contro il governo legittimo e riconosciuto internazionalmente di Fayez al-Serraj.
Come per altre questioni, la crisi causata dal COVID-19 non solo pone nuove sfide ma ripropone con maggiore forza problemi cronici del sistema internazionale: in Libia la guerra civile va avanti da sei anni. Il dibattito si è concentrato sulla crisi umanitaria e migratoria esacerbata dalla pandemia e dall’escalation militare. Le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), presentate da una sua rappresentante durante la riunione, sono spaventose: 48 mila rifugiati e richiedenti asilo e 370 mila libici sfollati interni che si sono spostati all’interno del paese per evitare il conflitto. La situazione è ingestibile: molti centri di detenzione sono stati svuotati all’inizio della pandemia, riversando i migranti nelle zone urbane e complicando profondamente il loro accesso ai beni di prima necessità. Secondo le testimonianze di Medici Senza Frontiere (MSF), le condizioni di vita nei centri rimasti aperti sono particolarmente difficili. Le violazioni dei diritti umani sono in aumento a causa dell’inasprimento del conflitto e per effetto della riduzione del margine di azione delle organizzazioni umanitarie causato dalla pandemia. Le misure per limitare i contagi comportano infatti una netta riduzione della presenza di operatori umanitari internazionali in loco in un momento in cui il controllo da parte di organismi esterni è urgente.
Ma i problemi non si fermano ai campi libici. La limitazione delle operazioni di salvataggio in mare da parte delle guardie di costiera europee e la chiusura dei porti imposta dalla crisi sanitaria, oltre a incidere sul diritto alla vita, alimentano gli interventi della guardia costiera libica andando, così, ad aumentare la detenzione arbitraria e i respingimenti illegali, con tutte le terribili conseguenze che già, forse solo in parte, conosciamo.
Siamo ancora in attesa di valutare i primi risultati della nuova missione europea Irini che ha sostituito la precedente operazione Sophia. Non siamo ottimisti: al contrario di Sophia, il focus della nuova operazione è garantire l’embargo sulle armi. Un obiettivo fondamentale che però non garantirà il salvataggio di donne, uomini e bambini che scappando da fame e guerra decidono di imbarcarsi. Dobbiamo quindi continuare l’impegno affinché l’Unione si doti di un meccanismo stabile, solidale, obbligatorio di ricollocamento, sbarco e soccorso.