LE VITTIME INNOCENTI DI AL-SISI

A pochi mesi dall’incarcerazione ingiustificata dello studente di Bologna Patrick Zaki, il 2 maggio è arrivata dal Cairo l’ennesima terribile notizia: la morte in carcere di Shady Habash, giovane regista che nel 2018, alla sola età di 22 anni, fu arrestato poiché “colpevole” di aver chiamato “dattero” il dittatore egiziano Al Sisi e aver denunciato il sistema di corruzione largamente presente all’interno degli ambienti governativi egiziani. Dal suo arresto fino alla sua morte, Shady Habash è stato sottoposto a un calvario disumano da lui ben descritto in uno dei suoi ultimi messaggi: “Non è la prigione, ma la solitudine che ti uccide. Resistere in prigione significa cercare di non perdere la testa e non lasciarsi morire lentamente perché sei stato gettato in una cella due anni fa senza motivo e non sai se e quando finirà e se ti ricorderanno all’esterno”.

Nonostante la nostra attenzione sia oggi rivolta alla crisi sanitaria, economica e sociale causata dal COVID-19, non possiamo permettere che il virus offuschi i nostri valori condivisi e mieta anche un’altra vittima: i diritti umani. Dall’arresto dei membri dell’opposizione di Hong Kong alla sospensione dello stato di diritto in Ungheria, assistiamo infatti in queste settimane al tentativo da parte di uomini paranoici che, esercitando il potere in disprezzo del diritto e dei diritti, sfruttano la pandemia per calpestare i diritti umani e la democrazia.

Shady Habash ha dovuto trascorrere gli ultimi due anni della sua vita in un carcere di massima sicurezza, senza aver mai potuto difendersi dalle assurde e false accuse che gli venivano mosse. Nel giorno della sua morte era ancora in attesa di giudizio. Il suo caso lo accumuna tristemente a quello di Patrick Zaki, lo studente di Bologna incarcerato pochi mesi fa in Egitto e attualmente ancora in carcere.

Shady Habash e Patrick Zaki non sono le uniche vittime della censura e della repressione del regime di Al Sisi.

Ieri anche Lina Attalah, editrice del giornale Mada Masr, è stata arrestata dalle forze di sicurezza egiziane. Eppure, dopo le forti pressioni dei riflettori accesi dai giornali di tutto il mondo, Lina Attalah è stata rilasciata su cauzione la sera stessa. Che lezione possiamo trarre da questa vicenda? Può l’UE far leva sul governo egiziano affinché essi non distrugga totalmente lo Stato di diritto e rispetti i diritti fondamentali e il diritto internazionale?

I trattati dell’Unione europea evidenziano chiaramente l’importanza fondamentale del rispetto dei diritti umani, che costituisce uno dei valori fondativi dell’UE citati nell’Articolo 2 del Trattato dell’Unione europea (TUE).

Inoltre, l’Articolo 21 del TUE – articolo che da inizio al Titolo V del trattato, il quale tratta le Disposizioni generali sull’azione esterna dell’unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune – specifica che “nell’elaborazione e attuazione dell’azione esterna […] l’Unione rispetta i principi e persegue gli obiettivi” tra cui la salvaguardia dei propri valori, il consolidamento della democrazia, dello lo Stato di diritto, dei diritti dell’uomo e dei principi del diritto internazionale.

Ne deduciamo perciò che sia non solo immorale ma anche contrario al diritto europeo continuare a guardare inermi e indifferenti la completa distruzione della democrazia in Egitto e il disprezzo totale del governo di Al Sisi nei confronti dei diritti delle proprie cittadine e dei propri cittadini.

Purtroppo la forza dell’Unione Europea è condizionata dalla sua unità e quando si tratta di paesi cruciali come l’Egitto, gli Stati membri commettono l’errore fatale di agire in solitaria. Tendiamo a dimenticare che la nostra rilevanza internazionale è molto limitata se raffrontata a quella dell’UE che parla a nome delle 27 nazioni che la compongono. Tanto più che la politica commerciale, strumento sentito anche dai regimi più sordi, è materia di competenza esclusiva europea. I governi nazionali – si pensi alla grandeur francese- spesso credono che i singoli interessi strategici differiscano da quelli europei. Ma muovendoci in ordine sparso, siamo poco efficaci e screditiamo l’azione europea. L’UE è dotata di un’ottima rete diplomatica e della forza negoziale che discende dalla ricchezza del mercato unico. Sarebbe ora di metterle a frutto, abbandonando gli egoismi nazionalisti e cercando mediazioni alte con i nostri partner europei.

Serve quindi un deciso cambio di rotta non solo diplomatico ma anche economico. I pozzi egiziani di gas naturale hanno importanza strategica? Sicuramente sì e sono oltre 130 le aziende italiane che hanno interessi in Egitto che si traducono in lavoro e fatturato in Italia. Ma i commerci e l’economia non possono prescindere dal rispetto dei diritti umani, dai valori della nostra Costituzione e dagli obiettivi di politica estera. Un peggioramento delle relazioni economiche con l’Egitto ha sicuramente un costo ma credo che sia arrivata l’ora di assumerselo. Questo è proprio il compito della Commissione Diritti Umani del Parlamento Europeo: monitorare la politica estera europea affinché siano rispettati i principi e i valori dei Trattati fondativi. In questi primi mesi di impegno a Bruxelles, ho preso atto del fatto che le risoluzioni e le condanne contro soprusi dei diritti umani sortiscono qualche effetto solo se accompagnate da azioni concrete sul piano commerciale e da minacce di riduzione degli aiuti economici. Nello scorso esercizio di bilancio, l’UE ha sostenuto lo sviluppo in Egitto con fondi per un totale di 1,3 miliardi di euro. Dovremmo rivedere queste cifre e lavorare di concerto con l’UE e i suoi Stati membri anche per fermare la vendita di armamenti.

Certo, non sempre si raggiungono gli obiettivi auspicati ma non dobbiamo mai scoraggiarci. Alle sconfitte seguono spesso vittorie del diritto e dei diritti sulla violenza e sull’autoritarismo. Condizionando l’apertura del mercato comune europeo al rispetto dei diritti umani, l’UE riesce a proiettare a livello globale i valori su cui si fonda.
In allegato la lettera che insieme a tante colleghe e colleghi ho inviato all’Altro Rappresentante dell’UE per sollecitare il cambio di passo.