Il colpo di Stato in Myanmar non deve passare impunito.

Lunedì 1 febbraio in Myanmar l’esercito ha preso il potere con un colpo di Stato: è stato dichiarato un anno di stato d’emergenza, sono state interrotte le linee telefoniche nelle città principali, sono state sospese le trasmissioni della televisione statale, vi sono stati numerosi arresti tra cui oltre cento Parlamentari e Aung San Suu Kyi (leader del partito di maggioranza Lega Nazionale per la Democrazia-NLD). A guidare il golpe è stato il generale delle forze armate birmane (Tatmadaw in birmano) Min Aung Hlaing, che ha assunto il ruolo di capo del governo, l’ex generale e vicepresidente Myint Swe è stato nominato presidente ad interim.

La motivazione alle base del golpe

Il Tatmadaw ha agito esplicitamente per rovesciare il governo di Aung San Suu Kyi. Lo scorso 8 novembre si erano tenute le elezioni legislative che, come le precedenti, erano state vinte dalla NLD con una maggioranza assoluta schiacciante; tuttavia, il risultato era stato contestato dall’esercito con la falsa accusa di brogli elettorali. Non a caso, pochi giorni prima del golpe, il generale Hlaing aveva tenuto un discorso in cui sosteneva che “se la Costituzione non viene rispettata deve essere abolita”, lasciando così presagire la possibilità di un golpe. Anche la scelta del giorno non è stata casuale: il 1 febbraio il nuovo Parlamento si sarebbe riunito per la prima volta. Il generale Hlaing ha dichiarato che la giunta militare avrebbe garantito un sistema democratico multipartitico “basato sulla disciplina”.

La figura di Aung San Suu Kyi

Aung San Suu Kyi è una delle figure più popolari per il suo impegno democratico e per la lotta contro la dittatura militare che ha governato il Paese per quasi 60 anni; nel 1990 ha ricevuto il Premio Sacharov dall’UE e nel 1991 il Premio Nobel per la pace. Figlia di un noto eroe nazionale protagonista dell’indipendenza del Myanmar dall’impero britannico, Suu Kyi è stato detenuta come prigioniera politica per oltre 15 anni, fino alla sua liberazione definitiva nel 2010. Dopo la vittoria delle elezioni del 2015 è diventata di fatto la leader del Paese, pur sempre condividendo il potere con i militari.

Considerata un’eroina a livello nazionale, e non solo, negli ultimi anni ha perso parte del suo consenso per avere dapprima ignorato e poi difeso la persecuzione della minoranza musulmana dei Rohingya (considerata come una vera e propria pulizia etnica). Il Parlamento europeo ha in più occasioni condannato la violazione dei diritti umani fondamentali dei Rohingya e invitato il governo birmano a porre fine alla persecuzione, arrivando al punto di escludere Suu Kyi tra i candidati e le candidate del Premio Sacharov.

La posizione dell’UE

Il processo di democratizzazione del Myanmar, per quanto difficile e pieno di ostacoli come dimostra il caso dei Rohingya, non può essere fermato: il colpo di Stato contro un governo democraticamente eletto non può essere in alcun modo giustificato. Dal 2013 l’UE supporta politicamente ed economicamente il processo di transizione democratica del Myanmar; l’UE ha fatto enormi sforzi per promuovere la pace e i diritti umani, e nel periodo 2014-2020 ha stanziato 688 milioni di Euro per il sostegno allo sviluppo del Paese. Il Myanmar beneficia anche del sistema di preferenze commerciali che consentono l’accesso al mercato unico dell’UE in esenzione da dazi e contingenti.
Una risoluzione votata dal Parlamento europeo ad ampissima maggioranza (667 favorevoli, 1 contrario, 27 astenuti) ha condannato il colpo di Stato militare, ha chiesto di porre fine allo stato di emergenza e di rilasciare incondizionatamente tutte le persone arrestate illegalmente. Abbiamo esortato la Commissione ad avviare un’indagine tesa a sospendere i vantaggi commerciali di cui il Myanmar beneficia in alcuni settori specifici, con particolare riferimento alle società collegate con i membri dell’esercito. Il Parlamento europeo ha anche condiviso la decisione del Consiglio di prorogare le sanzioni UE del 2018 nei confronti dei militari e dei funzionari responsabili delle violazioni dei diritti umani contro la popolazione Rohingya. È stato inoltre chiesto formalmente di adottare sanzioni mirate contro l’intera leadership dell’esercito birmano. La posizione dell’UE è netta: non scendere mai a compromessi quando a essere in gioco è la democrazia.