Congo: l’uccisione dell’ambasciatore Attanasio è una questione europea

La tragica uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo lo scorso 22 febbraio nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), ha riacceso i riflettori su una regione caratterizzata da una forte instabilità e dilaniata da una guerra civile che procede da oltre un quarto di secolo. L’ambasciatore viaggiava in un convoglio di sette persone del World Food Programme (WFP), il Programma alimentare mondiale, per visitare un progetto scolastico dell’organizzazione. L’attacco al convoglio è avvenuto a nord di Goma, capoluogo della provincia orientale del Nord Kivu; brillante e giovane, a soli 44 anni Luca Attanasio è deceduto poco dopo il vile attacco.

L’accaduto ha scosso l’Italia intera e ci ha ricordato una triste realtà di cui spesso ci dimentichiamo: quella della RDC e in particolare della regione orientale del Paese, a lungo lacerata dalla violenza di gruppi armati. Le cifre sono a dir poco allarmanti. Tra il 2017 e oggi si contano circa dieci mila vittime civili; solo nel 2020 l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha registrato più di 2000 uccisioni nelle tre province a Est della RDC (Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu), la maggior parte attribuite proprio a questi gruppi armati; solo nel Nord-est del Paese è stimata la presenza di oltre 120 milizie.

Il quadro storico-politico nella RDC

Ex possedimento coloniale del Belgio, sin dalla sua indipendenza nel 1960 la RDC è stata attraversata da conflitti e fratture profonde. Il Paese è stato governato in maniera autoritaria per quasi trent’anni dal generale Mobutu Sese Seko, giunto al potere con un colpo di Stato nel 1965. Agli inizi degli anni ‘90, le pressioni interne e internazionali e la ripercussione della crisi in Ruanda ha accelerato il collasso del suo regime. Nel 1994 il genocidio in Ruanda ha dato il via alla fuga di centinaia di migliaia di sfollati verso il Congo, e la conseguente invasione dei territori orientali del Paese da parte dell’esercito ruandese deciso a perseguire i responsabili del genocidio. Tra il 1994 e il 2003 la RDC è stata teatro di un sanguinoso conflitto che ha causato circa cinque milioni di morti, la cosiddetta “guerra mondiale africana”, che ha coinvolto diversi Paesi della regione. Oltre alle tensioni e alle rivalità etniche, alla base del conflitto vi è anche la ricchezza mineraria di cui la RDC e in particolare la regione orientale godono. La RDC è infatti un Paese estremamente ricco di risorse naturali, e dalle sue miniere dipende gran parte della tecnologia mondiale.

La fine ufficiale del conflitto non ha tuttavia segnato la fine delle violenze nella regione del Kivu (che prende il nome dall’omonimo lago), diventata ormai nota per i massacri e gli stupri di guerra. Decine di gruppi ribelli armati continuano ad agire indisturbati nelle aree orientali del Paese, nonostante la presenza sul campo della più grande missione di peacekeeping dell’ONU (Monusco) con oltre 17 mila militari sul campo. La regione, che si trova al confine con Uganda e Ruanda, è anche teatro di conflitti tra gruppi di insorti e le forze armate congolesi per il controllo del territorio, il cui sottosuolo è ricco di minerali rari e preziosi, tra i quali è bene ricordare il coltan essenziale per la produzione di smart phone e cellulari. Lo sfruttamento, l’estrazione e i traffici illeciti di questi minerali finanziano i conflitti armati, anziché arricchire la popolazione e alimentare il benessere economico del Paese. Sebbene nel dicembre 2018 sia stato eletto a presidente Felix Tshisekedi, che ha fatto del ripristino della sicurezza nell’Est uno dei punti centrali del suo mandato, tuttavia non sono ancora stati raggiunti risultati concreti; il governo di Kinshasa, che si trova fisicamente all’estremo ovest del Paese, rimane migliaia di chilometri distante e non ha alcun controllo reale sulla instabile regione transfrontaliera. Non riesce neppure ad intervenire in un’area in cui, tra l’altro, qualsiasi cambiamento potrebbe compromettere il fragile status-quo raggiunto con altre potenze regionali.

Una questione europea

Non c’è pace e non c’è giustizia oggi in Congo, dove la situazione è sempre più drammatica. Vi sono più di 5 milioni di sfollati interni, circa 20 milioni di persone sono in condizione di insicurezza alimentare, e oltre 3 milioni di bambini soffrono di denutrizione. Queste cifre ci dicono che è necessario un intervento immediato. Il Parlamento europeo negli anni si è espresso con diverse risoluzioni sulla situazione nella RDC, l’ultima delle quali lo scorso settembre, che hanno riportato l’attenzione sulla violazione dei diritti umani nel Paese (ricordo l’impegno di Denis Mukwege, medico e attivista congolese che ha ricevuto il Premio Sakharov nel 2014 e il Premio Nobel per la Pace nel 2018).

L’uccisione dell’ambasciatore Attanasio non è una questione italiana, ma è una questione europea. L’UE è un partner importante nella regione; tuttavia, se non si rafforza la nostra cooperazione con il continente africano, si rischia di lasciarlo nelle mani di altri attori come la Cina che non hanno interesse nel suo sviluppo, bensì a sfruttarne il patrimonio minerario. Ora più che mai, dopo questa triste vicenda, ci rendiamo conto della necessità dell’agire.