Il conflitto senza fine nel Nagorno-Karabakh

Il Nagorno-Karabakh è una regione situata all’interno del territorio Azerbaijan (e riconosciuto come parte del territorio azero a livello internazionale), ma governata de facto da un’autorità armena supportata da Yerevan. Tale disputa territoriale è stata causa, negli ultimi decenni, di massicci scontri nella regione.

Alla fine del mese scorso, le attività belliche tra Armenia e Azerbaijan sono riprese, causando forti preoccupazioni nell’intera regione e all’interno dell’Unione europea.

Le radici storiche del conflitto

Negli anni ’20, benché il Nagorno-Karabakh fosse abitato da una netta maggioranza armena, i sovietici assegnarono il controllo della regione alle autorità azere. Per decenni, qualsiasi disputa territoriale fu tenuta fermamente sotto controllo direttamente da Mosca.

Quando, alla fine degli anno 80, l’Unione sovietica cominciò l’inizio del suo declino, la maggioranza armena del Nagorno-Karabakh scese in piazza per reclamare la propria autodeterminazione e nel 1991, subito dopo il crollo dell’Unione sovietica, dichiarò la propria indipendenza, scatenando scontri tra Armenia e Azerbaijan che causarono la morte e lo sfollamento di migliaia di persone su entrambi i fronti.

Nel 1994 la Russia riuscì a mediare l’applicazione di un cessate il fuoco, che rimase in piedi negli anni a seguire seppur con varie violazioni talvolta anche gravi, come quella del 2016 che causò la morte di decine, se non centinaia, persone in soli 4 giorni.

La disputa è oggi considerata a tutti gli effetti un “conflitto congelato”: la comunità internazionale, nonostante ripetuti tentativi, non è infatti mai riuscita a porre fine alle ostilità con una soluzione permanente e accettata da entrambe le parti. Neppure il gruppo Minsk, creato dall’OSCE nel 1992 appositamente per risolvere la questione del Nagorno-Karabakh, è riuscito a far accettare alle parti una soluzione pacifica del conflitto sulla base di principi condivisi. Ad oggi, specialmente a causa del lungo stallo e delle svariate violazioni del cessate il fuoco, il rischio di escalation del conflitto militare rimane alto.

Il ruolo delle potenze regionali

Oltre all’Armenia e all’Azerbaijan, vi sono delle potenze regionali che hanno giocato e tutt’oggi giocano un ruolo importante nella disputa territoriale del Nagorno-Karabakh.

La Russia è il principale intermediario del conflitto, anche perché Armenia e Azerbaijian erano parte dell’URSS e ancor hanno intensi rapporti con il regime di Mosca. Da una parte, la Russia guida l’alleanza militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva dei paesi ex sovietici, che comprende l’Armenia, e ha una base militare nella città armena Gyumri. D’altra parte, la Russia ha cercato sin dagli anni ’90 di instaurare delle relazioni energetiche strategiche con l’Azerbaijan, ricco di petrolio e gas. Il governo di Baku, tuttavia, ha negli ultimi anni cercato di rivolgersi ai paesi europei come fornitore alternativo di energia alla Russia, cercando di bypassare il governo di Cremlino tramite la progettazione di gasdotti che passerebbero sul territorio turco e arriverebbero direttamente in Europa.

Dal canto suo, la Turchia non intrattiene alcuna relazione diplomatica con l’Armenia, in particolare per il rifiuto di Ankara di riconoscere il genocidio armeno avvenuto per mano dell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale. Il regime turco ha invece ottimi rapporti con l’Azerbaijan, Paese a maggioranza musulmana e ricco di petrolio.

Molti in Europa ritengono che il sostegno al regime azero da parte della Turchia faccia parte della politica egemonica di Ankara nella regione, e che possa essere usato da Erdoğan come leva nelle altre dispute (Mediterraneo orientale, Siria e Libia).

Vi è infine l’Iran, che confina a nord con l’Armenia e che secondo varie fonti sta supportando Yerevan con delle forniture militari. A differenza della Turchia, il governo di Teheran si è però pubblicamente affiancato alle richieste europee, statunitensi e russe di un cessate il fuoco stabile e duraturo.

La posizione UE

Il ruolo dell’Unione europea nella regione del Caucaso non è così forte come quello delle potenze della regione. Tuttavia l’UE ha cercato, sin dalla ripresa delle ostilità, di mediare tra le parti in conflitto.

Già il 27 settembre – giorno dell’inizio degli scontri tra Armenia e Azerbaijan lungo la cosiddetta “linea di contatto” che, FIN DAL 1994, separa i due eserciti – l’Alto rappresentante/Vicepresidente Josep Borrell ha chiesto “l’immediata cessazione delle ostilità, l’allentamento delle tensioni e la rigorosa osservanza del cessate il fuoco” e ha sottolineato l’importanza di “tornare ai negoziati per la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh sotto gli auspici dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, senza condizioni preliminari”.

Il Consiglio europeo, riunitosi il 1 e il 2 ottobre, ha ribadito quanto già dichiarato da Borrell. “La perdita di vite umane e il costo per la popolazione civile sono inaccettabili. Non vi può essere alcuna soluzione militare al conflitto né ingerenze esterne. L’Azerbaijan e l’Armenia dovrebbero avviare negoziati sostanziali senza precondizioni “.

La situazione lungo la linea di contatto rimane ancora incerta. Certo è che l’Ue dovrà svolgere al meglio il suo ruolo di leader diplomatico e discutere con le altre potenze della regione per approvare un nuovo cessate il fuoco e, ancor più importante, ottenere un ritorno ai negoziati tra armeni e azeri che possa finalmente aprire uno spiraglio e dare nuova speranza riguardo una pace duratura tra le parti.