Violazioni dello Stato di diritto in Polonia: cosa può fare l’UE?
Riuniti a Bruxelles lo scorso 21 e 22 ottobre, i capi di governo dei ventisette Stati membri dell’Unione europea si sono trovati ancora una volta a discutere di Stato di diritto in Europa.
Dopo il Consiglio europeo dello scorso luglio in cui si è dibattuta la legge ungherese anti-LGBTI, i leader europei hanno discusso la questione dell’indipendenza del sistema giudiziario polacco.
A inizio ottobre la Corte costituzionale polacca, sulla cui autonomia e indipendenza ci sono forti dubbi, ha infatti disconosciuto il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale, concludendo quindi che la Polonia non ha dunque l’obbligo di rispettarlo. Si tratta di una sentenza senza precedenti che rappresenta un chiaro affronto al progetto di unità europea nonché ai valori su cui esso si fonda.
Purtroppo, i governi europei non sono riusciti a concordare un approccio comune. Oltre alle dure parole di condanna, ad oggi non sono infatti state prese delle contromisure. L’Unione europea dispone di molteplici strumenti per rispondere alle violazioni dello stato di diritto, perciò è legittimo chiedersi se effettivamente tale stallo non derivi semplicemente da una mancanza di volontà politica.
Gli strumenti a disposizione dell’UE
In primo luogo, l’Ue può avviare delle procedure d’infrazione.
Quando uno Stato membro è venuto meno ai propri obblighi derivanti dal diritto europeo, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) prevede che la Commissione europea possa avviare una procedura d’infrazione contro quello Stato membro e chiedere che venga rettificato il problema. In caso di mancato adempimento, la Commissione può chiedere alla Corte di giustizia europea di applicare misure provvisorie che includono, tra le altre, anche sanzioni pecuniarie.
La Commissione ha già avviato queste procedure in passato nei confronti degli Stati membri. Tuttavia, quando l’infrazione ha riguardato lo Stato di diritto in Polonia, queste procedure non hanno ancora dato buoni risultati.
Il secondo luogo, la Commissione può attivare la procedura d’infrazione prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE).
Questo strumento prevede sanzioni più o meno gravi, che arrivano fino alla sospensione di alcuni diritti di adesione all’Ue, tra cui il diritto di voto del Paese in questione.
Nel dicembre 2017 la Commissione europea, per la prima volta nella storia, ha attivato questa procedura nei confronti della Polonia. Purtroppo, a causa della mancanza di volontà politica di alcuni governi europei, il Consiglio non ha ancora approvato delle sanzioni, seppure queste siano state a più riprese sostenute dalla maggioranza del Parlamento.
Il terzo strumento consiste nella sospensione dei fondi europei, inclusi i 36 miliardi di euro previsti per la Polonia dal Recovery Fund.
Il piano polacco, inviato lo scorso maggio, deve essere infatti approvato prima dalla Commissione europea, la quale ad oggi non lo ha ancora validato, e poi da tutti i governi europei.
Infine, la Commissione può attivare il nuovo meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto, il quale vincola l’erogazione dei fondi del bilancio europeo al rispetto dei valori fondamentali dell’Ue. La decisione finale sul blocco dei fondi deve essere presa dal Consiglio a maggioranza qualificata.
Come parte del compromesso per fare accettare a tutti i governi UE il Recovery Fund europeo, la Commissione si era impegnata a non attivare il meccanismo di condizionalità fino a quando non sarebbe stata pubblicata la sentenza della Corte di giustizia sul ricorso presentato dai governi polacco e ungherese. Tuttavia, a quasi un anno dall’entrata in vigore del meccanismo, la Corte non si è ancora espressa e perciò questo strumento rimane tutt’oggi inutilizzato.
Le richieste del Parlamento
A seguito della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale polacca, il Parlamento europeo ha convocato una discussione straordinaria per parlare della situazione in Polonia e delle possibili misure da adottare a livello europeo.
Nella risoluzione, approvata a larghissima maggioranza (502 voti favorevoli, 153 contrari e 16 astensioni), il Parlamento ha chiesto che vengano utilizzati tutti gli strumenti a disposizione dell’UE per rispondere alla sentenza polacca.
Nello specifico, oltre ad avviare procedure di infrazione e chiedere ai governi europei di dichiarare finalmente che esiste un evidente rischio di violazione grave dello stato di diritto in Polonia ai sensi dell’articolo 7 TUE, il Parlamento ha chiesto che la Commissione si astenga dall’approvare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) polacco, e che sia attivato il meccanismo di condizionalità.
Per mettere ulteriore pressione sulla Commissione, il Parlamento ha dichiarato di voler intentare una causa per la mancata applicazione del regolamento sul meccanismo di condizionalità qualora la Commissione non proceda a riguardo in tempi brevi.
Prossimi passi
L’indecisione della Commissione europea e l’impasse al Consiglio europeo a causa del principio di unanimità non permettono all’UE di rispondere in maniera adeguata alla crisi polacca.
È quindi importante che nei prossimi mesi il Parlamento continui a monitorare la situazione in Polonia e a chiedere fermamente alla Commissione europea e ai governi europei che siano attuate delle misure urgenti per rispondere alla sentenza della Corte costituzionale polacca.
L’obiettivo, va ricordato, non deve essere di spingere la Polonia ad uscire dall’Unione. Oltre al fatto che l’UE non dispone degli strumenti giuridici per allontanare uno dei suoi Stati membri, questa opzione non è nemmeno auspicabile, visto che 7 polacchi su 10 ritengono che l’appartenenza del loro Paese all’UE sia una cosa positiva. Tutelare e rappresentare queste cittadine e queste cittadine deve essere l’obiettivo principale dell’Unione.
Il messaggio può quindi essere solo e soltanto uno: l’Ue deve rafforzare il progetto di integrazione europea e difendere il principio che si è membri di una comunità anche rispettando gli obblighi e non solo reclamando diritti.