Ue, Ungheria e lo stato di diritto
Sono passati più di due mesi da quando i governi di tutto il mondo hanno iniziato a introdurre delle misure di confinamento e di distanziamento sociale per limitare la diffusione del Coronavirus.
Mentre nella maggior parte dei Paesi europei si è deciso di dare priorità a misure per proteggere i propri cittadini dagli effetti della pandemia, alcuni governi hanno invece fatto un uso strumentale della crisi per consolidare il proprio potere erodendo ulteriormente le libertà civili.
Siamo soliti discutere dei regimi autoritari riferendoci alle esperienze nazionaliste europee del 20esimo secolo o guardando a regioni remote del globo. Purtroppo il deterioramento della democrazia è un problema che ci riguarda direttamente. In Europa, le misure approvate dal grande eroe della destra italiana Viktor Orban riecheggiano quell’idea di potere inteso come fine e non come mezzo che ha caratterizzato la nascita dei regimi totalitari del secolo scorso.
In Ungheria, grazie alle misure approvate nelle scorse settimane, il primo ministro potrà governare per decreto per quanto tempo vorrà, il governo potrà sospendere qualsiasi legge esistente eludendo il controllo parlamentare e il potere giudiziario, non più indipendente, potrà condannare fino a 5 anni di reclusione chi accusato di diffondere critiche e informazioni false sull’operato dell’esecutivo. Il Parlamento ungherese ha di fatto investito Orban di quei pieni poteri che ricordano tristemente gli annunci dell’estate scorsa dell’allora vice-premier Matteo Salvini.
La situazione è talmente drammatica da aver determinato un declassamento dell’Ungheria da democrazia a sistema politico ibrido da parte dell’ONG statunitense Freedom House, che monitora lo stato di diritto e la democrazia a livello globale.
In queste ultime settimane, Orban ha promosso una serie di provvedimenti che non riguardano affatto la salute pubblica ma che al contrario hanno il solo scopo di indebolire lo stato di diritto e colpire le minoranze da esso protette. Qualche esempio? Il governo ha presentato un provvedimento che vieterebbe il riconoscimento legale del cambio di sesso per le persone transessuali e ha invitato il Parlamento a rigettare la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.
Le manovre del governo ungherese sono state criticate duramente da molte organizzazioni della società civile e da alcune organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa. Il Parlamento europeo, in una risoluzione approvata lo scorso 17 aprile, ha dichiarato che le misure dell’Ungheria sono “totalmente incompatibili con i valori europei” ed il suo Presidente, David Sassoli, ha chiesto alla Commissione europea di valutare se sono conformi ai valori fondamentali dell’Unione europea.
È proprio in momenti come questi che, giustamente, viene da chiedersi dov’è l’Europa e cosa può fare?
Già nel settembre 2018, il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione nella quale chiedeva al Consiglio europeo, dove siedono i governi degli Stati membri, di agire per evitare che le autorità ungheresi violassero i valori fondanti dell’UE. Era la prima volta che il Parlamento chiedeva ufficialmente l’avvio della procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato, che potrebbe portare alla sospensione di alcuni diritti di adesione all’Ue, tra cui il diritto di voto in sede di Consiglio.
A oltre un anno e mezzo dalla richiesta del Parlamento, purtroppo, la situazione in Ungheria è deteriorata notevolmente e il Consiglio, per via del potere di veto del governo Polacco allineato alla politica autoritaria di Orban, non si è ancora mosso in maniera decisiva.
La procedura prescritta dall’articolo 7 prevede sanzioni molto serie per le violazioni dello stato di diritto sancito dai Trattati fondativi, la legge suprema dell’Ue. Purtroppo però il meccanismo anti-democratico dell’unanimità adottato per le decisioni vitali del Consiglio europeo impedisce l’avvio di un’indagine credibile e seria.
È per questo motivo che, dal 2018, la Commissione europea e il Parlamento chiedono l’introduzione di un nuovo meccanismo volto a proteggere il bilancio dell’Ue dai rischi finanziari connessi a carenze generalizzate per quanto riguarda lo stato di dritto negli Stati membri.
Questo strumento permetterebbe, tra l’altro, all’Ue di sospendere o ridurre pagamenti previsti nel bilancio verso un Paese dell’Ue che viola lo stato di diritto. Anche se non è ancora stata finalizzata, la proposta prevede che sia la Commissione a proporre delle misure che potrebbero essere eventualmente modificate o bocciate dal Consiglio, che deciderebbe a maggioranza qualificata, impedendo dunque ad un singolo governo di bocciare le misure proposte.
La necessità di istituire un meccanismo che colleghi il bilancio europeo al rispetto dello stato di diritto è oggi più che mai evidente. Il diritto europeo affonda le proprie radici nello stato di diritto e nella tradizione liberal-democratica. Chiudere un occhio sulle violazioni del governo ungherese significa ridurre l’Unione a una logica puramente mercantilista. Al contrario, dobbiamo difendere il progetto politico e ribadire la sua supremazia sui vantaggi economici derivanti dall’appartenenza al mercato unico.
Secondo alcune stime, l’Ungheria sarebbe infatti il maggiore beneficiario a livello pro-capite del pacchetto da 37 miliardi di euro approvato dalla Commissione europea per destinare i fondi europei alla lotta contro Coronavirus.
Deve essere chiaro che per trarre vantaggio dall’appartenenza a una comunità è necessario rispettarne i valori e i principi. Questo vale soprattutto per l’Ungheria che ha vissuto una crescita economica ininterrotta che le ha permesso di lasciarsi alle spalle la rovina economica che l’ha affamata prima della caduta del muro e dell’adesione al mercato unico europeo.