La sentenza della Corte di giustizia dell’Ue a tutela dello Stato di Diritto

Lo scorso 16 febbraio la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha respinto i ricorsi presentati dall’Ungheria e la Polonia contro il meccanismo di condizionalità che condiziona l’erogazione dei fondi previsti dal bilancio comunitario al rispetto dello Stato di diritto.
Il meccanismo di condizionalità (analizzato in un precedente approfondimento) era stato adottato dal Consiglio dell’Unione europea e dal Parlamento europeo il 16 dicembre 2020 sotto la spinta dell’allora Presidenza tedesca dell’Unione europea.
Il regolamento consente al Consiglio, su proposta della Commissione ed esprimendosi a maggioranza qualificata, di attivare misure sanzionatorie in caso di violazioni dello stato di diritto che potrebbero avere un impatto sul bilancio europeo. Tra queste le più rilevanti sono l’interruzione di pagamenti o la sospensione di uno o più programmi di finanziamento.
La reazione polacca e ungherese
Polonia e Ungheria, responsabili di numerose violazioni dello Stato di diritto e dei valori fondanti dell’Unione, si sono opposte fin da subito al regolamento di condizionalità, ritenendo che fosse una norma punitiva esplicitamente predisposta nei loro confronti.

Il Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki e il corrispettivo ungherese Viktor Orbán, battuti sul voto a maggioranza qualificata sull’approvazione del meccanismo, si sono addirittura spinti a porre il veto al bilancio pluriennale (2021-2027) dell’Unione che comprende anche i fondi per il piano Next Generation EU e il Recovery Fund. Dato che l’approvazione del budget settennale dell’Ue richiede l’unanimità, l’alleanza polacco-ungherese aveva di fatto bloccato il funzionamento delle stesse istituzioni.

L’impasse istituzionale è stata superata solamente grazie ad un compromesso raggiunto durante il vertice dei Capi di Stato e di Governo del dicembre 2020. L’accordo prevedeva il ritiro del veto di Budapest e Varsavia a fronte di un impegno degli altri 25 Stati membri, sottoscritto tramite una dichiarazione di intenti, di applicare il meccanismo di condizionalità in modo oggettivo, non pregiudiziale e proporzionale all’eventuale violazione.

Inoltre, nonostante lo strumento di condizionalità sarebbe dovuto entrare in vigore l’1 gennaio 2021 in contemporanea al budget settennale dell’Unione, gli Stati membri e la Commissione hanno concordato di non attivare tale meccanismo fintanto che la CGUE non si fosse espressa sui ricorsi presentati da Polonia e Ungheria.

Le conseguenze della sentenza della Corte

Come è noto Polonia e Ungheria, così come altri Paesi Ue dell’est Europa, sono beneficiari netti di miliardi di fondi europei. Diversi studiosi hanno evidenziato come la loro legittimità politica interna dipenda in un certo qual modo dalla capacità di spesa dei fondi Ue, che hanno grosse implicazioni sulle politiche economiche nazionali e i loro programmi di spesa pubblica.

Allo stesso tempo, in questi stessi Paesi vengono riscontrate le violazioni più gravi dello Stato di diritto, come dimostra la Relazione annuale sullo Stato di diritto elaborata dalla Commissione. Ad esempio, alla Polonia viene severamente contestata l’approvazione di leggi nazionali che minano l’indipendenza della magistratura e l’autonomia dei tribunali. In Ungheria, invece, sono state individuate una mancanza di trasparenza delle decisioni governative e una debole tutela dei diritti delle minoranze, della libertà di stampa, degli oppositori politici e delle organizzazioni non governative.

La sentenza della CGUE costituisce dunque una svolta decisiva per la tutela di quei valori comuni basilari sui quali l’Unione europea si fonda e non concede più alibi alla Commissione europea. È ora di utilizzare tempestivamente questo nuovo strumento più efficace rispetto alle altre opzioni a disposizione (procedure d’infrazione, attivazione articolo 7 TUE, etc.), che purtroppo fino a questo momento si sono rivelate deboli, impraticabili o addirittura inconcludenti, soprattutto a causa del potere di veto degli Stati membri.

Il nostro impegno al Parlamento europeo

Il Parlamento europeo ha fin dall’approvazione iniziale del meccanismo fatto pressione sulle altre istituzioni comunitarie per attivare lo strumento di condizionalità e difendere con fatti concreti lo Stato di diritto. La democrazia deve essere infatti tutelata attraverso scelte ambiziose e coraggiose. La retorica non è più sufficiente per proteggere il nostro spazio comune di libertà e giustizia da derive pericolose che non sono compatibili con i valori europei.

È per questo motivo che al Parlamento europeo abbiamo appena approvato una risoluzione sullo Stato di diritto in Europa e sulle conseguenze della sentenza della Corte.

Trovare un accordo per sottoporre al giudizio della plenaria questo testo non è stato facile. Infatti, ci sono state pressioni da alcune forze politiche per rinviare il voto al fine di evitare di creare possibili motivi di frattura all’interno del fronte europeo in un momento storico che necessita unità e compattezza decisionale degli Stati membri. Tuttavia, grazie soprattutto al lavoro del Gruppo dei Socialisti e Democratici, il voto è stato calendarizzato.

La risoluzione, approvata a larghissima maggioranza, chiede alla Commissione finalmente di attivare il meccanismo di condizionalità e invita i governi europei ad usare tutti gli strumenti a loro disposizione, in particolare le procedure di infrazione previste dall’articolo 7 TUE e bloccate ormai da diversi anni al Consiglio, per difendere i valori fondamentali dell’UE.

Se supportiamo chi combatte per i valori democratici appena fuori i nostri confini, abbiamo il dovere politico e morale di preservare anni di conquiste democratiche anche nella nostra casa comune.