Diritti LGBTI in Ungheria e lo stato di diritto in Europa
All’ultimo vertice del Consiglio europeo, la questione dei diritti fondamentali in Ungheria, inizialmente non prevista in agenda, è diventata uno dei temi principali tra i capi di governo dell’Ue.
Principale oggetto di discussione è stato una legge del Parlamento ungherese che paragona l’omosessualità alla pedofilia e che impedirà di affrontare temi legati all’identità sessuale in contesti pubblici frequentati dai minori.
Le dure reazioni alla legge non sono mancate: 17 governi europei hanno firmato una lettera per chiedere al premier Viktor Orban di ritirare la proposta, la Commissione europea ha annunciato che avvierà una procedura di infrazione e il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione che condanna la legge ungherese.
Purtroppo, nonostante le forti dichiarazioni, il governo ungherese non sembra intenzionato a ritirare la legge e, ancora una volta, l’Europa si trova incapace di rispondere agli attacchi frontali di chi viola i diritti fondamentali all’interno dei suoi confini.
In attesa degli auspicati passi in avanti su questo importante e delicato tema, può essere utile fare il punto sugli strumenti a nostra disposizione per porre fine alle violazioni dei valori fondamentali e sulla battaglia che il Parlamento europeo sta portando avanti per la difesa dei diritti di tutti.
Strumenti esistenti
Attualmente esistono due strumenti principali per contrastare le violazioni dello stato di diritto in Europa.
Il primo è la procedura d’infrazione prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, uno dei documenti fondativi dell’Ue. Questo strumento prevede sanzioni, anche gravi, che arrivano fino alla sospensione di alcuni diritti di adesione all’Ue, tra cui il diritto di voto del Paese in questione.
Nel settembre 2018 il Parlamento europeo, per la prima volta nella storia, ha attivato questa procedura nei confronti dell’Ungheria. Purtroppo, a causa del diritto di veto che ha ogni Stato membro dell’Ue, le sanzioni sono state bloccate, seppur votate a maggioranza dal Parlamento.
Il secondo è uno strumento nuovo che vincola l’erogazione dei fondi del bilancio europeo al rispetto dei valori fondamentali dell’Ue. Il cosiddetto ‘meccanismo di condizionalità’, di cui vi ho già parlato in altra occasione, è stato oggetto di forti critiche da parte dei governi di Polonia e Ungheria che avevano persino minacciato di far saltare l’accordo sul Recovery Fund se fosse stato approvato.
Il compromesso trovato tra i governi europei è stato quello di chiedere il parere della Corte di giustizia dell’Unione europea prima di utilizzare il meccanismo. Dopo quasi sette mesi la Corte non si è ancora espressa e, di conseguenza, il meccanismo non è ancora stato attivato.
Il nostro lavoro al Parlamento
Preso atto, da un lato, dell’aggravarsi della situazione in alcuni Paesi e, dall’altro, dello stallo politico tra i governi nazionali, la Commissione europea ha deciso di rendere pubblica una relazione annuale sullo stato di diritto.
L’obiettivo di questa relazione, presentata l’anno scorso, è di prevenire le violazioni grazie ad un monitoraggio costante dello stato della democrazia e dei diritti fondamentali in ognuno dei 27 Stati membri dell’Ue.
Il Parlamento ha colto questa occasione per riflettere su come migliorare le nostre capacità di prevenire e contrastare le violazioni dei diritti fondamentali.
Con alcuni colleghi della Commissione affari costituzionali, abbiamo contribuito al dibattito con un documento che ha ricevuto il sostegno dalle principali forze politiche.
Nel nostro documento, consultabile online, chiediamo ai governi nazionali di andare avanti con le procedure dell’articolo 7 e alla Commissione di attivare la clausola che bloccherebbe i finanziamenti Ue ai governi che violano lo stato di diritto, un appello ripreso anche di recente dal Presidente del Parlamento in una lettera indirizzata alla Presidente della Commissione.
Nel testo si propongono inoltre diverse misure per migliorare il monitoraggio della situazione dello stato di diritto e per rafforzare il pacchetto di strumenti a disposizione dell’UE per rispondere in maniera efficace alle violazioni sistemiche dei princìpi democratici.
Prossimi passi
La discussione al vertice europeo di fine giugno non ha ancora portato risultati concreti ma, dopo anni di stalli e rinvii, parrebbe indicare un cambio di rotta. Proprio in questi giorni la Commissione europea sta valutando se sospendere i fondi del Recovery Fund destinati all’Ungheria.
Ci auguriamo che queste discussioni si trasformino in azioni concrete, con passi in avanti sulle procedure d’infrazione, che sono ferme da troppo tempo, e con l’attivazione della condizionalità sui fondi europei, che continuano ad essere erogati anche ai Paesi che non rispettano i diritti fondamentali.
La pandemia ha messo a dura prova le nostre istituzioni, ma ha anche reso possibile quello che fino a poco tempo fa si riteneva impossibile.
Usiamo questo momento per dimostrare che, anche sui diritti, l’Europa è presente ed è pronta a difendere le persone più vulnerabili.
Sarebbe sicuramente un bel segnale con il quale ripartire.